PARROCCHIA
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QUALE RILANCIO
DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA?

Relazione del Prof. Luigi Pizzolato

Il Compendio della Dottrina sociale è stato voluto per sostenere e spronare l’azione dei cristiani in campo sociale. L’affermazione, che la DSC (Dottrina Sociale della Chiesa) è parte integrante della concezione cristiana della vita, è un invito forte ad occuparsi dell’etica pubblica.
Fino a poco tempo fa i politici cristiani erano quelli che avevano una vita di fede, mentre chi, oltre la fede, sapeva anche cercare con intelligenza il Bene comune della città, era giudicato meno significativo rispetto al primo.
Sappiamo che i percorsi dei nostri politici, incamminati sulla via della santità, incontrano gravi difficoltà, perché hanno fatto delle scelte di parte. Così sono stati valutati non espressione della realizzazione globale del cristianesimo, ma espressione di parte. Ma la politica e la costruzione della città implicano sempre una scelta di parte.
Noi dovremmo abituarci a vedere una santità competente. Non una santità globale (tutti sono perfetti in tutto, il che non è mai possibile per un uomo, perché “uno solo è perfetto”), ma una santità inerente ad una vocazione specifica di ciascuno, quindi anche del politico.
Sappiamo che la Dottrina Sociale della Chiesa non è una parte dell’economia e della sociologia. La Chiesa non ha una dottrina economica da insegnare, anche se qualche equivoco nella storia ci può essere stato. Oggi è chiaro che la DSC è una parte dell’etica e della morale cristiana e quindi rientra in tutti i parametri dell’etica (percorsi, metodi…).
Purtroppo sembra che la politica e la DSC si siano sottratte a questa metodologia: si pensava che bastasse immagazzinare il deposito della fede, presentarlo alla società e tradurlo senza tutta quella serie di rapporti, di conoscenze e di mediazioni che sono inerenti all’atto etico. Ma, se ciascuno di noi ha dei principi etici, nella vita occorre metterli a confronto con la situazione e col principio di responsabilità, così che vengano percepiti come capaci di promuovere l’uomo e le sue relazioni. Non basta mostrali ed esibirli.
A maggior ragione questo vale per la DSC che ha a che fare con la società di tutti e non solo con un nostro comportamento personale. E’ più complicata l’etica sociale che l’etica individuale: si tratta di fare i conti con diverse visioni, cercando di trasferire in questo contesto pluralistico i principi e i valori in cui crediamo.
La DSC nasce con la Rerum Novarum (1891) che affronta la questione operaia (conflitto tra il lavoro e il capitale) e le drammatiche condizioni di lavoro. C’era uno scontro tra ideologie e movimenti economici e sociali fortemente antagoniste. Poi si susseguirono altri pronunciamenti per analizzare la vita sociale.
Ma per molto tempo le cause delle trasformazioni erano state ricondotte perlopiù ad atteggiamenti egoistici di alcune classi sociali, all’abbandono del primato della religione e della morale cattolica nella società e ad ideologie contrarie alla visione della vita sociale. Era mancata una attenzione ai meccanismi e alle condizioni storiche.
La DSC però ha posto gradatamente attenzione al problema del comportamento sociale, oltre quello dell’individuo, cercando una comprensione dei fenomeni sociali. Essa rientra, in tal modo, a pieno titolo nella riflessione del credente. Con Paolo VI e Giovanni Paolo II si è passati a puntare sulla dignità dell’uomo e ai suoi diritti.
L’approfondimento della DSC è stato rilanciato nel nostro tempo anche per la diaspora politica dei cattolici. Pur nella legittima diversità di collocazione politica, è importante riuscire a farsene una ragione alla luce della fede. Non tutte le posizioni sono uguali: allora è fondamentale trovare i perché e dare ragione delle diverse scelte. Ma siccome è molto difficile parlare di politica all’interno delle comunità cristiane, perché sembra di introdurre elementi di rottura del tessuto comunionale, si finisce col limitarsi a puntare sul patrimonio sociale della Chiesa.
Si dice: noi abbiamo questo bel patrimonio della DSC, ragioniamo su questo e poi ognuno faccia la sua scelta. Meglio di niente, ma non è questa la strada decisiva. E’ certamente necessaria, ma non sufficiente.
Tutti i valori e alcuni di questi limiti sono presenti nel Compendio della DSC, che vuole essere una raccolta di tutti gli elementi della vasta produzione del pensiero ecclesiale sulla vita sociale e vuole essere uno strumento facilmente utilizzabile. E’ uno strumento di lavoro e non un libro di lettura. Contiene citazioni della Sacra Scrittura, del Magistero e dei Padri della Chiesa. Non viene citato nessun teologo del 900, né testi delle Conferenze episcopali.
Si tratta di un documento non magisteriale, ma del Pontificio Consiglio di “Giustizia e Pace”. Vuole essere un orientamento dentro il dibattito teologico, attraverso la raccolta di testi magisteriali (proposizioni). Questa impostazione ha dei vantaggi: vorrebbe essere oggettiva.
Ma la tecnica delle proposizioni ha insito un grande limite, dovuto al fatto che i passi vengono decontestualizzati ed organizzati secondo un ordine logico tematico. E’ un po’ come demolire gli edifici e mettere lì i mattoni. E’ per questo che si dice che le proposizioni hanno quel valore che hanno i documenti magisteriali che le hanno espresse.
La tecnica delle proposizione era la più usata nell’antichità. Pensate al Sillabo di Pio X che ha condannato alcune proposizioni della cultura moderna. Esso ha creato gravissimi problemi alla Chiesa, perché gli accusati non si riconoscevano nelle proposizioni, in quanto tolte dal loro contesto. Ci si chiese che valore avesse il Sillabo, tanto più che tante espressioni condannate furono poi accettate nel magistero della Chiesa.
Quindi se uno vuole affrontare un argomento può utilizzare il Compendio, ma senza assegnare un valore definitorio e fondamentalistico al testo. Guai ad assolutizzare le frasi decontestualizzate, anche perché si possono trovare frasi che dicono il contrario. Uno ci può trovare tutto e il contrario di tutto. Va bene usare il Compendio, ma meglio usare un buon manuale di DSC o di etica.
Nel corso della DSC le affermazioni di principio, almeno fino a Paolo VI, sono riferite al diritto naturale, considerato come qualcosa di fisso e immutabile, come se la natura dell’uomo fosse rimasta sempre uguale a se stessa dalle origini fino ai nostri giorni; da qui la possibilità di ricavare da questa natura umana i principi.

Già la lettera del card. Roy (1973) a Paolo VI poneva in rilievo il carattere dinamico e storico della natura: essa non esiste allo stato puro, ma nelle persone vive e concrete.
Infatti con Paolo VI e poi con Giovanni Paolo II cresce il riferimento non più al diritto naturale, ma ai diritti dell’uomo, come sono stati riscoperti e definiti dal XX secolo, in particolare dopo la seconda guerra mondiale.
Lo stesso card. Ratzinger affermava che il ricorso al diritto naturale, nella situazione attuale, è uno strumento spuntato. Non si è d’accordo sul concetto di natura umana. E’ diventato un concetto mobile. Oggi sono cadute le evidenze etiche anche di diritto naturale e, se non è evidente, è difficile insegnarlo per via conoscitiva. Già S. Tommaso diceva che il diritto naturale lo si apprende per inclinazione, non per cognizione. Il diritto naturale funziona la dove non c’è bisogno di evocarlo, funziona quando è chiaro già alle coscienze, altrimenti è difficile invocarlo a fondamento della vita sociale. La legge naturale purtroppo può essere persa nelle strade della sto
Il concetto di natura dell’uomo non è un concetto di natura fissa, ma movimento verso un fine. L’uomo la scopre, ma può anche perderla. E’ sempre necessario un percorso culturale verso il ritrovamento della legge del rispetto sempre più pieno della persona umana.
La trasmissione nella società dei nostri valori deve passare necessariamente attraverso la legge del consenso. Certo il consenso democratico non è un principio veritativo, ma occorre metterlo in campo se vogliamo rispettare la libertà della adesione. La verità ha sempre accettato di mettersi a disposizione della libertà dell’uomo, per far crescere l’adesione degli uomini. Dio stesso ha educato progressivamente l’uomo attraverso il passaggio da leggi imperfette a quelle più perfette.
E’ il discorso della pedagogia progressiva: educare la società e l’uomo a partire dalla situazione di “dura cervice” in cui si trova in quel momento e portarla a prendere sempre più coscienza delle sue responsabilità. Non è solo un problema di tattica, perché tante volte gli stessi valori del deposito della fede noi li riscopriamo insieme agli altri nella storia. Pensiamo ai valori della Rivoluzione francese: c’erano nel nostro patrimonio, ma forse si erano appannati e la storia si è incaricata di risvegliarli, anche perché sappiamo che la storia è guidata da Dio.
Lo stesso relativismo non si vince eliminando le differenze, ma portandole a dibattito. E nella costruzione della città il relativismo può essere anche un’occasione per lavorare insieme a chi non si sente orientato al Regno. Non c’è altra strada diversa, in politica, da quella del continuo, paziente dialogo per una maturazione necessariamente progressiva.
Una cosa manca nel Compendio: una riflessione sul metodo di trasmissione dei valori. E’ una illusione dire: “I cristiani imparino la DSC e poi vadano in politica a trasmettere questi valori”. Per essere un buon politico bisogna imparare come trasferirli nella società. Purtroppo il metodo di trasferimento è sempre stato sottaciuto nei documenti della Chiesa. Il cristiano deve creare quelle situazioni per cui quei principi un po’ alla volta si inseriscano. Così il metodo diventa la forma della DSC, non il contenuto. Ma deve essere elaborato ed esplicitato. Questo è il compito proprio del laico impegnato in politica.
La trasmissione dei contenuti della DSC ha bisogno di una pastorale capace di assorbirli. E’ la pastorale ordinaria che prepara il terreno alla pastorale sociale. Le nostre commissioni pastorali sono autoreferenziali. La commissione scuola, per esempio, deve affrontare il problema della educazione dei ragazzi nella società. Il fine non è il primato della scuola cattolica. All’interno di un disegno globale che interessa la scuola di tutti trova posto la scuola cattolica.
Il ruolo della Chiesa. La Chiesa non può limitarsi ai pronunciamenti, ma deve prendere posizione. Qui tocca, innanzi tutto, ai laici che agiscono nella società e nella politica. E tocca alle Chiese locali che sono più vicine ai problemi e al loro contesto.
In Italia c’è tuttavia una anomalia. La Chiesa tende a giudicare singoli problemi politici, ma non giudica il paradigma politico. La Chiesa giudica le singole leggi. Ma sta zitta sul problema del come si fa politica, oltre i singoli provvedimenti legislativi.
Solo che in Italia prendere posizione sul paradigma significa prendere posizione per una parte politica. Ma di fronte ad un degrado della politica forse bisognerebbe decidersi a capire che fare!

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