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Pastorale, lavoro e vita quotidiana
Riflessioni su alcuni punti fermi,
sui temi e sui contenuti del programma pastorale
1) La Pastorale del Lavoro
sente di incoraggiare lo
sforzo dei credenti di non moltiplicare gesti o “eventi”, ma di vivere, anche
nel tempo del lavoro, la propria fede cristiana e la propria vocazione da
discepolo di Gesù. Il lavoro è parte fondamentale, anche se non unica, della
persona, e perciò sull’attività, sulle logiche e le culture che porta con sè,
vanno investiti riflessioni, sforzi, testimonianze, ricerche. Se vivere la fede
suppone un rivolgersi a Dio (come Gesù ci rivela) e accettare di sentirlo vicino
(come Gesù ci assicura), ne viene come conseguenza che nel lavoro vanno scoperti
i segni che possono diventare enigmi o svelamenti.
Il lavoro, pur in situazioni completamente diverse, mentre accetta ritmi,
logiche economiche di mercato e concorrenza, dovrebbe diventare il luogo, come
ovunque, d’altra parte, in cui il Signore si svela. I cristiani e i segni; i
cristiani e la coerenza delle logiche quotidiane; i cristiani e il cammino
comune; i cristiani e la giustizia; i cristiani e l’accoglienza; i cristiani e
la collaborazione; i cristiani e la dignità della persona. Queste ed altro fanno
parte del tempo del lavoro e diventano spina dorsale della fede.
2) La santità popolare nasce da questi elementi quando non si accetta
passivamente la fatica e la difficoltà del vivere, ma la si rilegge come
vocazione a cui tutti sono chiamati nella semplicità e nella umiltà dei propri
gesti normali e comuni. Se la Chiesa vive così questa circolarità tra vita
quotidiana, rendimento di grazia, stile di vita nuovo che si travasa a sua volta
nella vita quotidiana, nella Eucaristia e in nuovi e più maturi stili di vita,
le grandi scelte della Comunità Cristiana sono già delineate con ricchezza, in
questo percorso che si sviluppa e si approfondisce.
3) La Parola diventa indicazione e itinerario che richiede una prolungata
riflessione ed una tradizione coraggiosa e il più possibile fedele nel confronto
del nostro tempo. La Parola è ciò che ha il primato nella Chiesa ed è
l’orientamento fondamentale per rintracciare il cammino verso il Signore. Gesù
pronuncia la Parola ed è “la via”.
Ma nella Pastorale ordinaria non è ancora stata assunta con vigore e non se n’è
ancora presa coscienza della indispensabilità. Si confonde con la predica, con
la devozione, con l’andare in chiesa, con i discorsi della gerarchia, con la
catechesi, con la parola dei preti ecc. Non si è ancora accettato che sulla
Parola di Dio ci si debba confrontare. Tutte le altre proposte sono legittime,
doverose, preziose, ma continuano ad essere mediazioni per chiarire, sostenere,
accogliere, intravedere. Ma la Parola di Dio è rivolta a ciascuno con la
nostalgia di trovare qualcuno che la faccia propria, con libertà e umiltà, la
rilegga nel proprio tempo, l’ascolti come il profeta che la trova dolce in bocca
e amara poi, ma Parola viva che ci interpella per primi, come quelle chiamate
che Gesù faceva, improvvisamente, a uomini e donne della sua terra.
4) Merita certamente una ricerca coraggiosa la catechesi che tuttavia è già
organizzazione e armonizzazione della Parola del Signore: certamente, comunque,
può essere uno strumento prezioso di sintesi e una buona carta topografica per
identificare il cammino percorso.
Ma la catechesi è un passo successivo; ricostituisce il rapporto
maestro-discepolo e riporta alla volontà di approfondire la conoscenza del
Signore. Non vanno certo contrapposte Parola e catechesi quasi fossero distanti,
eppure una differenza la si trova, e questa differenza fa scattare meccanismi di
difficile comprensione. Non è un caso che la catechesi degli adulti soffra
l’asfissia. Probabilmente, almeno per gli adulti, va riproposto il passo
iniziale dell’annuncio. Può anche non piacere, ma ogni volta è come se si
dovesse riscoprire il Signore Gesù da capo, in una società che rimette in
discussione il senso religioso e cristiano, ingabbiata dalle scelte di consumo e
di danaro. E ogni volta è come se dovessero scattare da capo una scelta e una
adesione totale a Gesù per una conversione del cuore. Attorno alla Parola ci
sentiamo tutti discepoli. E’ ricominciare e ognuno si ritrova con il suo ricco
bagaglio di esperienze e la sua borraccia piena di interrogativi. Chi è più
esperto mette a disposizione la sua conoscenza e chi ha esperienza può fare
altrettanto. Ma il rapporto con gli adulti è più “fraterno”, più ricerca, meno
prefabbricato. 5) Con gli adulti, allora, lo stile suppone fondamentalmente un maturare la
Parola del Signore con interventi di fede da parte di tutti e quindi un
raccontare la vita riletta alla luce di quella Parola.
Un metodo, comunque lo si voglia vedere e non è l’unico ma è molto prezioso, si
ricollega al “Vedere-giudicare-agire” nel richiamo di Giovanni XXIII sviluppato
nella enciclica “Mater Et Magistra”. “Nel tradurre in termini di concretezza i
principi e le direttive sociali, si passa di solito attraverso tre momenti:
rilevazione delle situazioni; valutazione di esse nella luce di quei principi e
di quelle direttive; ricerca e determinazione di quello che si può e si deve
fare per tradurre quei principi e quelle direttive nelle situazioni, secondo
modi e gradi che le stesse situazioni consentono o reclamano. Sono i tre momenti
che si sogliono esprimere nei tre termini: vedere, giudicare, agire” (MM 217).
6) La testimonianza ha bisogno di spazi aperti, deve uscire dai perimetri della
parrocchia dove è pur giusto che vi attecchisca, ma non può dimenticare che il
mondo degli uomini e delle donne è fuori del sagrato è là, ovunque lo
incontreremo. E’ pur vero che si è conquistato una maggiore libertà e il
“rispetto umano”, di qualche decennio fa, ha lasciato lo spazio ad una autonomia
dignitosa e rispettata, per chi lo voglia. Ma manca, nel clima d’individualismo
e di paura per i propri progetti personali, quello stile di libertà che non è
sfrontata, ma “dolce e rispettosa”, però vera, senza poteri e volontà di
immagine, eppure capace di dire e di fare secondo una etica di relazioni nuove,
qualificabili come credenti nella Parola di Gesù (“se qualcuno te lo chiede”) e
comunque presenti.
7) La Comunità Cristiana, a questo punto, ha bisogno di capire, confrontarsi,
suggerire, rischiare, camminare e verificare. Qui sorge il problema del
Consiglio Pastorale, la sua composizione con le sue scelte, la sua maturazione,
il confronto, i perché. C’è un grande valore nel credere alla sua utilità e alle
sue proposte. E tuttavia non si può improvvisare o supporre che sia già stato
acquisito uno stile, salvo poi lamentarsi che i laici non sanno portare un
contributo, né sanno impegnarsi.
8) Il Consiglio Pastorale impegna molto tutti e suppone un lento maturare e
capire. Si cresce tutti. Esso nasce dalla esigenza della Chiesa come popolo,
chiamato ad essere presenza e testimone nella storia, nel proprio piccolo mondo
di vita. È la realtà comunitaria pensante e credente della Chiesa locale. Tale
Consiglio Pastorale ha il compito di cogliere, con sensibilità di fede, i segni
del Signore nella vita quotidiana religiosa e civile, per innestarvi la propria
proposta di figli in cammino verso il Padre.
La preghiera nella vita quotidiana è stato un obiettivo da impostare e da
sviluppare. Alcune parrocchie hanno fatto un uso significativo delle schede
(preparate due anni fa) che volevano accompagnare il credente nella sua
esperienza di vita quotidiana. Non si può fare nessun bilancio poiché sono molto
personali l’itinerario ed il cammino, ma è anche molto difficile. Bisogna sempre
comunicare una volontà di sapienza suggerendo come pregare e che cosa chiedere.
Nella giornata, comunque, soprattutto nei momenti importanti, una breve
preghiera condensa in sè tutti i salmi e il Padre nostro e va ripetuta:
“Signore, dammi il tuo Spirito”. E’ una grande preghiera di Pentecoste.
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