Parrocchia S. Maria regina

 

PARROCCHIA
S. MARIA REGINA
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La Croce sui Balcani
DI FULVIO PANZERI
(Avvenire)
 

 

Parla lo scrittore italo-bosniaco:
Alen Custovic nel suo primo romanzo,"Eloi',Eloi'.....", narra la fuga dalle violenze nell'ex Jugoslavia


N
on è semplicemente uno dei tanti di casi di "scritture migranti" quello di Alen Custovic, scrittore e giornalista, nato a Mostar, la "città dei ponti" della Bosnia-Erzegovina. In seguito al dilagare della guerra che ha sconvolto l’ex Jugoslavia, assieme alla sua famiglia multietnica, da ragazzino abbandona l’area in conflitto per venire in Italia, prima in Sardegna, poi a Matera dove vive l’adolescenza e a Roma dove studia alla Sapienza; infine approda nell’hinterland milanese, dove si sposa e vive con sua moglie. Dopo quindici anni, ora ne ha ventisei, si sente

Arriva nelle librerie l’opera vincitrice della prima edizione del premio «Falck» bandito dalla fondazione Ambrosianeum

italiano a tutti gli effetti, tanto da padroneggiare la nostra lingua con tale intensità da vincere una scommessa assai dura, quella di scrivere un romanzo, Eloì, Eloì..., che esce nei prossimi giorni negli Oscar Mondadori (pagine 250, euro 8,80), nato proprio da una sfida che Custovic ha voluto raccogliere, quella lanciata dal premio Alberto Falck, bandito da Ambrosianeum e riservato ad un’opera inedita che avesse al centro i valori spirituali nella società contemporanea, anche non ignorandone i contrasti. Custovic legge il bando del concorso e inizia scrivere, velocemente, cercando di far emergere dal suo profondo il dolore di una storia che è la sua, ma che coinvolge anche noi, il nostro modo di percepire la presenza dello straniero, la necessità di metterci in relazione all’altro, dimenticando la nostra egocentrica visione dell’io. Nel romanzo troviamo alcune considerazioni sul perché si lascia la propria terra: «Comunque fosse, tutti speravano in qualcosa di meglio dalla vita.

Sarajevo, il cippo che ricorda la prima vittima della guerra

Perché in un modo o nell’altro non si abbandona mai la propria terra se non ci si è prima avvolti in una fortissima speranza. Tuttavia, molti, troppi, sarebbero rimasti delusi». La giuria del premio sceglie proprio questa sua storia, intensa e dolorosa, che mette a confronto due destini, in cui Dio sembra aver abbandonato l’uomo (da qui il titolo che riprende le parole di Gesù sulla Croce). Ora abbiamo il libro, che ci rivela un autore italiano che potrà stupirci nei prossimi anni, per il quale la parola imparata a fatica si dipana tra quotidianità e riflessione teologica, tra senso della speranza e indagine sul cuore dilaniato di due uomini.

Troviamo Emir, musulmano per etnia ma non per convinzione, che gli eventi della guerra interetnica trasformano in un guerrigliero feroce e senza scrupoli, il quale ha bisogno di lasciare il suo Paese, di dimenticare, se sarà possibile, questo dolore acuto e nero che si è conficcato nel suo cuore. Cerca così di scappare da se stesso, di nascondersi dalle proprie memorie che lo mettono continuamente di fronte all’orrore di cui si è macchiato.

Il grido di Cristo morente diventa il grido di una terra dilaniata dai conflitti etnici, ma anche l’annuncio di un nuovo senso

«Voleva dimenticare ciò che era stato, se stesso e il suo Paese, perdendosi in qualcosa di nuovo che, forse, sarebbe potuto diventare». Custovic conosce molto bene i sentieri dell’emigrazione, la differenza tra lavoro pulito e continua tentazione verso la criminalità che aspetta al varco, una volta oltrepassata la frontiera, e nel romanzo ce ne dà conto con grande precisione realista, seguendo i passi di Emir fino a che, nell’hinterland milanese, sceglie di cambiare lavoro. Legge l’annuncio di una persona che cerca assistenza e si trova di fronte Armando, un prete, che combatte la sua lotta contro le ombre del dubbio, che ricerca se stesso nella fede che sembra averlo abbandonato. È un rapporto intenso quello che si instaura tra i due uomini, una condizione che cambierà entrambi. Com’è cambiata in Italia anche la vita del nostro giovane scrittore. Custovic sceglie il cattolicesimo: «Sono figlio di un musulmano e di una cristiana ortodossa e ho vissuto in una terra dove i matrimoni misti erano all’ordine del giorno.
Anche i miei genitori, però, come la maggior parte dei bosniaci, erano laici non praticanti e io non sono stato indirizzato verso nessuna confessione. Arrivato in Italia, durante gli anni universitari a Roma, ho conosciuto don Ugo, il sacerdote che mi ha svezzato spiritualmente e, catturandomi con la sua semplicità, mi ha avvicinato alla religione cattolica». Le ragioni le troviamo nella parte finale del romanzo, trecento pagine in cui l’affondo nell’anima dei protagonisti diventa sempre più stringente: «A Dio nulla è impossibile. A volte agisce in modi davvero inconsueti, delicati come il vento leggero, perché siano gli uomini ad accorgersi della sua presenza paterna; perché siano in grado di rovesciare sempre e comunque tutte le regole, al di fuori di una: l’amore, assioma inviolabile». E proprio la parte finale ci rivela la novità di una struttura narrativa che sembra seguire i contorni della Croce, come luogo simbolico, non solo per la cognizione del senso del dolore, ma anche come definizione del senso della vita: «La sfida di Dio con noi sta proprio lì, in quel frangente di illuminazione: nel confidare cioè fino alla fine nella natura umana, al punto da concedergli totale libertà, persino quella di compiere del male a se stessa; nel credere nella capacità dell’uomo di andare oltre alla semplice natura terrena, di trascendere, eppure di rimanere sempre con i piedi saldi nell’immanente. Un po’ come la Croce, innalzata verso le vette dello spirituale, ma ben piantata nel suolo umido».
 

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Redazione Web: don Sergio, Achille, Dario

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