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Bello è il Verbo nell’invitare alla vita Mentre scrivo ho davanti agli occhi un crocifisso, uno di quelli semplici ma espressivi dell’umanità sofferente di Gesù. Voglio parlare della bellezza partendo proprio dalla croce, simbolo cristiano per eccellenza ma preso spesso in prestito da chiunque abbia un dolore da portare nel cuore. Abituati da due millenni di Cristianesimo, capita di dimenticare che quella croce è stata uno strumento di tortura e di morte per migliaia di persone, divenendo così emblema di maledizione e bruttezza, rappresentazione della morte atroce per sfinimento e asfissia. Eppure, per noi, che abbiamo esperienza del Crocifisso risorto, quel simbolo spregevole è segno della bellezza infinita della misericordia di un Dio grande che nella morte del Figlio ha offerto la vita eterna all’umanità intera. Nell’equilibrio della fede, la croce continua a mantenere la duplice valenza di bellezza infinita e bruttezza senza pari. Bella perché amore che salva; brutta in quanto dolore sovrumano. È su questo contrasto tra vita e morte presente nella croce che voglio dire qualcosa circa la bellezza, superando, o almeno non facendovi espressamente riferimento, i canoni codificati della bellezza. La bruttezza della croce sta nel sequestro violento della vita di un uomo reso impotente in ogni sua azione, bloccato e costretto nella sua libertà, inchiodato e schiacciato sino a rubagli la vita. Questa forma estrema di bruttezza ne rischiara il concetto stesso: brutto è ciò che è stantio, bloccato, inerme, apatico, inanimato, senza forza, incapace di libertà e proiettato alla morte. In contrapposizione prende forma il concetto di bellezza quale espressione di vitalità, movimento, fermento, dispiegamento della libertà, germoglio di vita. Bello o brutto non è dunque ciò che più si avvicina a dei canoni stilistici già dati, ma quanto rende presente o annichilisce il mistero della vita e di tutti i suoi derivati. Applicare queste parole alle nostre cose diventa facile: bella è quella persona che vive, che cerca il futuro, che rifugge l’apatia e cerca espressione e amore. Bella è quella comunità cristiana che non si bea di sé, che spinge il suo sguardo lontano, che vive nella sua città, che supera la tentazione di sentirsi appagata. Bella è la comunità in espansione, oppure, detto in termini più ecclesiali, bella è la comunità in missione raggiunta dal fuoco dello spirito santo: supera il baratro dell’isolamento e si apre ai linguaggi del mondo, crea ponti di relazione con chi è lontano, inventa nuove vie per arrivare a chi ancora non conosce il Signore o l’ha dimenticato. La bellezza non nasce dunque dal nulla ma viene generata; non germina spontaneamente ma come esito di un lungo lavoro di educazione della coscienza in ordine alla custodia della vita. Per noi cristiani, creare bellezza significa raccogliere l’eredità del Verbo di Dio che nella sua bellezza infinita ha lasciato il cuore della comunione trinitaria per la missione di incarnazione nella storia degli uomini. Sant’Agostino nelle Enarrationes in Psalmos (XLIV,3) così diceva: “Bello è il Verbo nato fanciullo, perché mentre era fanciullo e succhiava il latte, mentre era portato in braccio, i cieli hanno parlato, gli angeli hanno cantato le lodi... bello nell’invitare alla vita, bello nel non curarsi della morte, bello nell’abbandonare la vita, bello nel riprendersela, bello nel sepolcro e bello sulla croce.”
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Redazione Web: don Sergio, Achille, Dario
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