Anno 2000
Numero 1 - Ottobre 1999
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LA BORSA DEL DOTTORE
E’ sicuramente un oggetto curioso e misterioso
al tempo stesso questa "borsa del dottore, una specie di borsa alla Mary Poppins, da cui per incanto si può
estrarre di tutto. Ma è davvero così?
Non saprei rispondere perché ne esistono di tutti i tipi ed ogni medico si personalizza con questo strano
attributo; provate a farci attenzione, è quasi un biglietto da visita.
La mia è piuttosto grande, anche se io non sono per niente "grande", di sicuro è pesante, così almeno
"grandi" diventano i muscoli delle braccia che devono portarla. C’è dentro un po’ di tutto, tutto
il possibile, tutto l’indispensabile ed il guaio è che per me tutto è indispensabile.
Quando arrivo al letto del malato, magari con un po’ di affanno per via delle scale, che non mancano mai, il
peso della borsa, la tempra di atleta ormai appesa al fatidico chiodo, prendo fiato sedendomi sul bordo del letto
per minimizzare i danni dello "sforzo" e lascio "furbescamente" subito la parola al paziente,
perché mi racconti i suoi problemi, la sua storia. Può essere un momento molto delicato, per vari motivi,
perché alcune persone con la loro storia mi darebbero il tempo per riprendere fiato per la maratona. A proposito
di maratona, mi sento di aprire una parentesi più che doverosa, per alcune persone si tratta proprio di una
maratona di sofferenza, di prove pesanti, che scandiscono i nostri incontri, che ci permettono di riscoprirci
senza barriere e falsità, nelle nostre povertà, ma anche nelle nostre ricchezze, quelle autentiche, quelle
interiori; loro i malati dalla loro posizione orizzontale dischiudono a me, nella mia verticalità (solo rispetto
a loro) orizzonti di bontà e misericordia, insegnandomi che la vera ricchezza è ricercare ed essere sempre se
stessi in ogni circostanza, anche la più dolorosa. Per questo ho imparato col tempo ha volgere lo sguardo sulla
persona; ad incrociare i suoi occhi, distogliendolo, almeno in quei momenti, dell’orologio.
Tutto ciò mi ricorda un libro "Dio non ha l’orologio" di E. Oliviero del Sermig di Torino, non
perché per Dio il tempo non esiste, ma perché per Dio il tempo è spazio per amarci. Quando termino la visita e
ridiscendo le scale, spesso le stesse scale, stringendo la mia borsa, vorrei mettermi dentro la ricchezza di
questi incontri, ma mi accorgo, che nonostante la pretesa di farci stare tutto, questo grande dono non può
entrarci, ci vuole un cuore grande. Grande per contenerlo, un cuore che ancora io non ho. E’ così, che
situazioni che sembrano l’Apocalisse diventano davvero Rivelazione!
Sandro |