Anno 2000
Numero 2 - Novembre 1999
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UN PO' DI GAMBE DALL'AMERICA
Dopo aver salito una breve rampa di scale entro
nel tunnel, un corridoio stretto e buio, dove navigo a memoria fino ad arrivare alla porta di ingresso della
signora A. Confesso che le prime volte ho provato paura di misurare quella buia strettoia con una sonora caduta,
che mi avrebbe fatto vedere tutte le stelle del firmamento.
Entro invitato dalla voce del figlio e di A, che sono lì ad aspettarmi ed anch’io so cosa mi aspetta, un paio
di gambe da fine del mondo, nel senso che sono talmente deformate e piene di piaghe a causa di un brutto incidente
e vecchie e toste varici.
Mentre mi dedico alla medicazione delle piaghe che riconosco spesso dolorosa, per sdrammatizzare e creare un
diversivo scherzoso una volta mi sono lasciato sfuggire la promessa che le avrei procurato un paio di gambe nuove
dall’America. Così questa promessa, che penso di avere fatto a qualche altro paziente, ogni tanto ritorna alla
memoria e suscita un sorriso dolce e sereno su quel viso incorniciato da una capigliatura sempre curata, da
orecchini di buon gusto, da uno sguardo comprensivo di chi sta al gioco e non vuol farmi pesare tutta la
sofferenza di non potersi più muovere da quella casa, delle notti passate in bianco per i dolori a tutte le ossa,
del disagio di dipendere da suo figlio anche per i bisogni più semplici.
Quante volte uscendo da quella porta e ripiombando nel tunnel ho pensato che in realtà la stessa sensazione di
buio poteva crearsi anche in quella stanza da letto, dove una persona bisognosa di molte cure è seguita, curata,
vissuta giorno e notte da un familiare. Spesso è un rapporto che s’incupisce, subentra il buio, che sfocia in
incomprensioni, in sfoghi fuori misura, in parole pesanti; tutto questo fa parte del gioco in una situazione del
genere, però questo è buio, è un tunnel da cui uscire diventa veramente difficile.
Allora si può fare qualcosa? Penso di sì, se diamo ascolto alla nostra coscienza e vogliamo vivere un po’ di
solidarietà; basterebbe organizzarsi e a turno recarsi a trovare queste persone che vivono questi problemi dando
la possibilità al malato di vedere volti nuovi, sentire parole diverse, uscire dalla triste realtà facendo
entrare gli altri, e permettere alla persona che accudisce l’ammalato di avere qualche momento di libertà, che
può consistere semplicemente nell’andare a messa o fare quattro passi per incontrare qualcuno. Può essere un’idea
su cui riflettere: in fondo, il nostro tempo è spazio al servizio degli altri.
Ora la signora A non c’è più, il Signore l’ha voluta con sé come lei stessa, ultimamente nel suo lento ed
inesorabile declino, desiderava tanto. Il paio di gambe nuove dall’America sono rimaste nella mia borsa,
"serviranno a qualcun altro"! Certamente a lei non servono perché le sue gambe vecchie, stanche,
storpie, piagate, oggi sono nel "suo Regno" due magnifiche ali che le permettono di volare alto.
Sandro
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