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L'atteggiamento
corretto da assumere quando si pratica l'ascolto
attivo
è diametralmente opposto a ciò che caratterizza
quello che tradizionalmente viene considerato un
buon osservatore: impassibile,
"neutrale", sicuro di sé, incurante
delle proprie emozioni e teso a nascondere e
ignorare le proprie reazioni a quanto ascolta.
Al contrario, se vogliamo entrare nella giusta
ottica, dobbiamo imparare qualcosa
di nuovo e sorprendente, che ci
"spiazza" dalle nostre certezze e dunque
che ci consente di dialogare.
Questo
significa che si deve essere disponibili a
sentirsi "goffi", a riconoscere che si
fa fatica a comprendere ciò che l'altro sta
dicendo: in questo modo si stabiliscono rapporti
di riconoscimento,
rispetto e apprendimento reciproco che sono la
condizione per affrontare congiuntamente e
creativamente il problema.
È
la rinuncia all'arroganza dell'uomo-che-sa
e l'accettazione della vulnerabilità, ma anche
l'allegria della persona-che-impara, che
cresce, che cambia con gli altri invece che contro
gli altri.
Nella comunicazione intra-culturale molto spesso
hanno ragione entrambi gli interlocutori, e al
tempo stesso "non possono aver ragione
entrambi" perché non si capiscono fra loro.
Il riconoscerlo è un indice di saggezza. Il
dialogo fra culture diverse non riguarda in
primo luogo i
comportamenti, ma abitudini percettive-valutative
profondamente interiorizzate e difficili da
cambiare: le cornici culturali.
Quando
ci muoviamo entro un "sistema semplice"
(cornici condivise, stesse premesse date per
scontate) ci si comprende in modo diretto e
immediato, ma quando il sistema di cui siamo parte
è "complesso" (caratterizzato dalla
comunicazione fra cornici diverse, premesse
diverse), è più difficile parlare la stessa
lingua e capirsi, e diventa fondamentale
utilizzare l'ascolto attivo che
considera l'osservatore parte integrante del
contesto osservato.
Sempre
più spesso con il diversificarsi della nostra
società, l'ascolto attivo diventa una competenza
di base,
(Continua
a pagina 7)
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