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E il verbo si fece carne
“
Non temere Sion, non lasciarti cadere le braccia. Il Signore tuo Dio, in mezzo a te, è un
salvatore potente”. Ai nonni piace ricordare come celebravano il Natale una volta. Si
credeva che il Bambino portasse i doni in groppa a un asinello, allora si metteva del fieno
alla finestra e un secchio d’acqua, perché l’asinello aveva fatto tanta strada, aveva fame e sete.
Mi ricordo del presepio fatto in tempo di guerra, 1944. In seminario avevo preparato una bella
aurora su cartone, come fanno i bambini, come sfondo la scena del presepio, con scritto: È
nato Gesù. Ma non si poteva accendere la luce, c’era l’oscuramento, allora ho messo un lumino
di cera, ma non rendeva bene. Tutti i miei familiari invece erano meravigliati e i miei fratellini
chiamavano i bambini della cascina a vederlo. L’avevo allestito di notte. Non c’era la Messa di
mezzanotte appunto per l’oscuramento. E i regali? Una mela, una pera, un caco, frutta secca…
Non si faceva l’albero di Natale perché si diceva: è un’invenzione protestante. Ma in realtà non
avevamo i soldi per quelle quisquiglie. Eppure abbiamo scoperto che l’albero di Natale mostra
quanto è bello e gioioso essere immersi nella luce di Cristo. Nel presepio contempliamo la
tenerezza di Dio, nell’albero la luce e lo splendore del Salvatore. È bello ricordare ma è più
bello vivere il Natale, è bello contemplare il presepio che la tradizione cristiana ci fa ancora
allestire nelle nostre case, può rivelarsi un modo semplice, ma efficace, di presentare la fede
da trasmettere ai figli. Il presepio aiuta a contemplare il mistero di Dio che si è rivelato nella
povertà e semplicità della grotta di Betlemme. San Francesco d’Assisi fu così preso dal mistero
dell’Incarnazione che nel 1223 volle riproporlo a Greccio nel presepe vivente, diventando in
questo modo l’iniziatore di una lunga tradizione popolare. Il presepe può infatti aiutarci a
capire il segreto del vero Natale perché parla dell’umiltà e della bontà misericordiosa di Gesù,
il quale “da ricco che era si è fatto povero per noi”. La sua povertà arricchisce chi la condivide,
e il Natale reca gioia e pace a coloro che come i pastori accolgono le parole dell’angelo:
“Questo per voi sarà il segno: un bambino avvolto nelle fasce, che giace in una mangiatoia”. È
un segno anche per noi uomini e donne del duemila.
Come viviamo ora il Natale? È bello guardare il Bambino Gesù nel presepio costruito con
i nostri bambini in casa. È bello osservare una mamma che allatta il suo bambino al seno.
Madre Teresa di Calcutta afferma: “Fin quando ci sarà un bambino nella culla, sarà segno che
Dio non si è ancora stancato della nostra umanità”. Non è cristiano l’augurio “buone feste”, io
preferisco: buon Natale. In certe famiglie si arrischia di fare festa senza il festeggiato; questo
tempo può essere scippato da settimane bianche, crociere, costosi e inutili regali da buttare il
giorno dopo.
Come viviamo ancora oggi il Natale? La liturgia dell’Avvento è guida al cristiano. La
chiusura delle scuole, degli uffici, degli stabilimenti permette di trovarsi in famiglia a godere
a lungo il tempo natalizio. È il tempo dei pranzi patriarcali (Livetti). Enzo Bianchi ha
scritto: “Il tavolo di Natale deve diventare tavola”. È bello incontrarsi e guardarsi in faccia,
comunicandoci la gioia e la speranza che abbiamo dentro il cuore. È bello spezzare il pane
insieme, Dio ci dà il pane per condividerlo, qui nasce la gioia. È bello per me condividere il
Natale con i miei sei fratelli e sorelle, i 15 nipoti e i 29 pronipoti.
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