Anno 2000
Numero 5 - Febbraio 2000
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NON HO L’ETA’
E’ sabato mattina, ogni quindici giorni mi reco a far visita alla
signora M., che abita poco lontano da casa mia, spesse volte ci vado a piedi percorrendo quel tratto di strada a
me familiare, perché lì sono nato e ho vissuto gli anni della mia fanciullezza.
Mi viene spontaneo incamminarmi lentamente, come se i miei passi volessero centellinare quei pochi metri di
stradicciola ed è così che i ricordi affollano la mia mente con le immagini di noi ragazzi che rincorrevamo o
calciavamo uno spellacchiato pallone di cuoio sulla nuda terra, che ci sembrava il tappeto di San Siro.
Il passo va, i ricordi percorrono distanze infinite in tempi così brevi, oggi sono lì sulla stessa strada in un’altra
veste, più seria, più professionale, non sto andando a giocare, ma sono nel pieno della mia attività di medico,
che ho scelto liberamente; anche se di giorno in giorno, sulla soglia dei cinquanta anni, mi viene il dubbio
amletico di essere stato scelto: segno di pazzia o di maturità?
Arrivo al cancello del cortile dove abita la mia paziente: 88 anni tra poco, portati bene, principi di vita forti
e solidi, quelli proprio di una volta, poco incline a trangugiare pillole, nonostante i suoi problemi cardiaci, un
intervento abbastanza recente di mastectomia allargata, un colpo incassato male, perché secondo lei esagerato
rispetto al suo piccolo nodulo e perpetrato con la complicità dell’anestesia generale. Comunque sia, ha dovuto
subire la sua mutilazione e piano piano sembra che stia accettandola con più serenità, perché nella sua
saggezza ha imparato che l’età non rende immuni dal “male del secolo”; anzi ha imparato a controllarsi
così attentamente da segnalarmi subito una ghiandola al collo, che è stata prontamente indagata. Infatti il
motivo della mia visita è quello di riportarle l’esito dell’esame citologico del linfonodo da poco comparso.
Fortunatamente è tutto negativo, il primo ad esserne felice, quasi gioiosamente incredulo, sono proprio io; quale
peso morale, psicologico sapere un verdetto negativo o una sentenza che sa di sofferenza e di morte.
Questa volta è diverso, completamente diverso, perché quando varco la soglia della sua casa, quei suoi occhi
vivaci, che interrogano i miei senza mezzi termini per carpirmi la “verità”, alla mia risposta essenziale e
sincera, si velano di lacrime ed una grande commozione ci pervade il profondo. Ancora una volta capisco cosa
significa simpatia, compassione, condivisione.
A 88 anni la signora M. ha imparato che non si è immuni da nulla, che le prove della vita non sono mai terminate:
si possono affrontare e superare riempiendoti di angoscia e di paura. Ha imparato che si può ancora provare la
gioia di “rivivere”, anche se fino a quel momento, dopo tanto cammino e tanta fatica, pensava solamente che
ormai la fine fosse vicina, troppo vicina. Rivivere la vita oggi è forse pregustare un pochino la gioia della
resurrezione eterna.
Alessandro B.
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