PARROCCHIA
S. MARIA REGINA
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Anno 2001
Numero 6 - Aprile 2001

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UN QUADRO DAL VOLTO UMANO

Oggi ?stata una giornata pesante e piena di impegni, sono quasi le diciotto e trenta, quando l?orario di ambulatorio sarebbe fino alle ore sedici e trenta ed io sono ancora qui in studio, ma ?quasi sempre cos? dovrei averci fatto il callo, per?a volte pi?di altre mi pesa; anch?io sono un lavoratore, che non solo il lavoro nobilita o meglio mobilita, ma "una tantum" stanca.
Il brusio nella sala d?aspetto, a volte pi?intenso da rasentare la vera "cagnara"; del resto essendo gioved??"giorno di mercato" a Busto, si ?attenuato gradualmente fino ad ammutolirsi in un silenzio, che prelude fortunatamente il termine delle visite, anche se sono pi?che certo che gli ultimi pazienti sono giunti in ambulatorio alla spicciolata e furtivamente nell?ultima manciata di minuti. Non ?una abitudine gradita, spero sempre che le persone si mettano una mano sulla coscienza e siano perlomeno educati e corretti nei mie confronti, come io cerco di esserlo con loro (chi ha orecchie per intendere intenda!); la speranza ?l?ultima a morire e pi?ancora che la pazienza penso che sia la speranza la virt?dei forti (scusate lo sfogo, ma quando "ce v? ce v?quot;!).
Ed ?proprio con questi sentimenti velati di rancore che accolgo il Signor G. il quale, vistosamente imbarazzato, mi mormora: "Sono l?ultimo, dottore, a quest?ora sar?stanco immagino, non le far?perdere troppo tempo". Disarmante, semplicemente disarmante. Passo subito a raccogliere i sintomi che, insieme all?osservazione del paziente, decisamente dimagrito e pallido, almeno quando finalmente mi degno di rivolgergli lo sguardo, mi fanno pensare di essere di fronte ad un caso serio, forse anche ad una neoplasia, visto i tempi che corrono. Dentro di me scatta il disappunto per il mio atteggiamento freddo e seccato, probabilmente abbastanza evidente e la consapevolezza che meglio tardi che mai o meglio che non ?mai troppo tardi, se infatti non fosse venuto in ambulatorio non saremmo arrivati mai; la cosa importante ?che lui era l?per essere aiutato ed era mio dovere rimuovere ogni stupido rancore e combattere insieme per una giusta causa.
Fattolo accomodare sul lettino, comincio a visitarlo, ma stranamente mi accorgo che, mentre le mie mani palpano la zona addominale dello stomaco dove riferiva i disturbi maggiori, il suo sguardo non ?concentrato sul mio volto per carpire qualche strana espressione o smorfia, segnale di un qualcosa che non va bene, ma si perde sulla parete alle mie spalle, almeno cos?credo in un primo tempo, in realt??tutto rivolto ad un quadro che raffigura il volto di Cristo crocifisso.
E? un quadro che bisogna vedere, ?difficile descriverlo, posso solo dire che ?stato dipinto da un pittore dilettante, non credente, sul fondo di una scatola dei biscotti Plasmon; io l?ho fatto solo incorniciare, ma non ?questo che gli ha dato valore, il suo valore sta nell?espressione del volto, che coglie pienamente la drammaticit?dell?agonia sul legno della croce e l?abbandono nelle braccia amorevoli di Dio.
Di fronte ad una simile rappresentazione, viene spontaneo perderci lo sguardo, anche il Signor G. ne ?rimasto affascinato, quasi rapito, soprattutto quando la tua storia umana conosce i momenti duri della sofferenza, del dolore, dell?impotenza, come lui stava incominciando a vivere. Lui vecchio e vero compagno di una volta, non ? credente, ma mi confida che quel volto ?davvero un volto umano, quello di uno che ha saputo vivere e morire da vero uomo.
Non importa se il Signor G. creda o non creda in Dio, una cosa ?certa: Dio ha creduto e crede ancora nell'uomo, anche nel Signor G.

Sandro

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