PARROCCHIA
S. MARIA REGINA
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Anno 2002
Numero 5 - Marzo 2002

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CARO TASSELLO

Le riflessioni che scaturiscono, leggendo attentamente l'articolo proposto da don Norberto sui "bei tempi" dell'oratorio, sono tante. Escludendo quelle di carattere nostalgico per i "bei tempi" che furono, mi colpisce in particolare l'espressione: "Saremmo tranquilli se nessuno parlasse pi?di Ges?ai ragazzi?".

Da questa domanda me ne pongo un'altra: "Quanto il nostro oratorio o meglio la comunit?di persone (ragazzi, giovani, adulti) che fanno il nostro oratorio, parla di Ges?e in quali modi"? Penso che proprio per le sue caratteristiche l'oratorio parli di Ges?attraverso le azioni concrete delle persone che lo compongono. Il binomio parlare di Ges?= agire come Ges??l'uguaglianza pi?semplice che trovo per spiegarmi meglio.

Ecco allora che attraverso l'agire in oratorio, ciascuno in base alla sua posizione (il ragazzo nella partecipazione al gioco, il giovane nell'organizzazione del gioco, ma soprattutto nell'attenzione o meglio nella cura delle relazioni con i piccoli, l'adulto nell'aiuto concreto e nell'umile servizio, che "parla" da solo), si scopre come l'oratorio possa parlare di Ges? Ho trovato questa espressione del nostro Cardinale rivolto agli educatori all'inizio di questo anno: "Penso che sia un vero educatore dell'oratorio chi crede nella forza intrinseca della Parola di Dio, se ne lascia impregnare costantemente nella preghiera e poi lo diffonde gioiosamente e con fiducia. Un vero educatore, innamorato della Parola, vorr?donarla tanto ai singoli quanto al gruppo, sia nelle attivit?formative e spirituali, sia in quelle ludiche e di aggregazione. I veri educatori dell'oratorio non solo seminano la Parola con insistenza, in ogni occasione opportuna e non opportuna, ma desiderano diventare essi stessi un seme gettato nella vita dei ragazzi". Facilmente allora, se le nostre azioni sono" impregnate" dell'insegnamento di Ges? possiamo credere "ai miracoli", nonostante i nostri poveri numeri.

Una seconda riflessione mi nasce proprio dall'esperienza concreta di vicinanza ai piccoli e ai ragazzi; vicinanza che mi aiuta a condividere pienamente l'espressione che troviamo sempre nell'articolo: "Non ?forse la presenza di persone che stanno con noi, al di l?del gioco, a rendere bello un pomeriggio di domenica?". I nostri ragazzi sentono molto il desiderio di stare insieme: in un ambiente che non sia quello scolastico (dove non raramente le relazioni con i coetanei sono rese difficili dalla competizione o dal timore di "non essere all'altezza"); di condividere delle ore libere (come ?bello poter correre in un grande salone, anche quando fuori tutto ?grigio e piove, oppure giocare in quattro o cinque amici e non solo io e il mio computer, io e mia sorella o mio fratello (quando va bene); di semplici chiacchierate, risate e litigate ma fatte insieme agli amici, al gruppo che, per i ragazzi pi? piccoli, ?"il gruppo di scuola", per i pi?grandi il gruppo - base che si ?creato nei primi anni scolastici e si ?consolidato anche nella realt?oratoriana.

Se si sta bene, se si ha la voglia di trovarsi per coltivare amicizie, se si ha la possibilit?di incontri gioiosi, diventa pi?facile anche parlare di Ges? con le proprie azioni. Forse ?questa la motivazione di fondo che ha fatto nascere e, spero, crescere, le nostre domeniche speciali.

Rosella

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