Anno 2003
Numero 4 - Gennaio 2003
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ROBERTA, FRANCESCO E SIMONE
ovvero
la diversit?dei punti di vista
Roberta tornava a casa dopo essere andata a
scuola a parlare, nel consueto orario di ricevimento, con gli insegnanti di Simone, che frequentava la prima
media. Questa volta per?si sentiva a disagio, turbata e perfino arrabbiata con il proprio figlio.
Simone non era un cattivo studente, tutt'altro. I
suoi voti erano buoni; anzi: buonissimi. Non era questo il problema. Il problema era che l'insegnante di Italiano,
parlandole del figlio, garbatamente, le aveva fatto notare una cosa che a Roberta non andava proprio gi?
"Sa... credo che sia giusto informarla di questo", le aveva detto l'anziana professoressa di Lettere.
"Nell'ultimo tema, che era sulla famiglia, Simone ha scritto che "i miei genitori, cos?come molti
genitori dei nostri tempi, non ascoltano i propri figli". E, in altro modo, nel corso del tema, lo ha ancora
ripetuto: "i grandi dicono di preoccuparsi dei loro figli, ma in realt?non li ascoltano..."".
La professoressa di Lettere aveva quindi
commentato: "Non mi pare una cosa grave, per?ritengo che Simone stia segnalando un suo disagio e mi pare
che valga la pena di prenderlo in considerazione". "Eh no, accidenti!" pensava invece fra s?
Roberta "Ma quale disagio?". Simone era l'unico figlio di Roberta e Francesco. Come talora accade per i
figli unici, Roberta e Francesco facevano di tutto, ma proprio di tutto, per accontentarlo, per farlo stare bene.
E fra le molte cose che facevano per lui c'era anche quella di ascoltarlo.
"Ma come fa a dire che non lo
ascoltiamo?" rimuginava Roberta dentro di s?"Ma se ?lui che non parla!". Infatti, alla sera, a
cena, la madre spesso lo incalzava: "Allora Simone, raccontami che cosa hai fatto oggi!". E lui, invece,
se ne stava muto come un pesce oppure, nei casi pi?fortunati se ne usciva con qualche verso informe:
"Mah...", oppure "Boh...", oppure, nei casi pi?fortunati, con un "Non so...",
oppure "Le solite cose...". Roberta e Francesco lavoravano entrambi. Lei, era impiegata presso
un'agenzia di assicurazioni; lui lavorava come rappresentante di prodotti farmaceutici. Lei tornava a casa verso
le 7 di sera (si attardava sulla via del ritorno perch?approfittava per fare la spesa), mentre lui spesso stava
via anche per giorni interi, e talora lo si poteva trovare a casa solo per il fine settimana.
Una prerogativa che un bambino attribuisce ad un
adulto ?quella di organizzare da s?il proprio tempo. In realt? ogni adulto sa che non ?poi cos?vero che,
come adulti, si ?liberi di decidere del proprio tempo. Agli occhi di un figlio piccolo, per? l'adulto ?
pensato come colui che ha potere sulla propria vita. Un potere che lui, come bambino, poi preadolescente o
adolescente, pian piano vorrebbe anche per s? Chiss?.. forse Simone aveva veramente tante cose da raccontare
ai suoi genitori. Peccato che loro, senza colpa, raramente fossero disponibili. E allora in Simone si era venuta
pian piano a consolidare una persuasione profonda che, a parole, sarebbe suonata pi?o meno cos? "Siete
ancora voi a decidere quando io ho il diritto di essere ascoltato. Quando, invece, io
desidero di essere ascoltato, voi non siete disponibili. Ma allora il vostro non ?un vero ascolto,
perch?io devo ancora sottostare alle vostre regole. E questo non mi va!"
Certo... Roberta e Francesco avrebbero potuto
rispondere: "Ma noi, quando non ci siamo... non ?perch?siamo in giro a divertirci!". Vera e
sacrosanta l'obiezione. Un bambino, per? soprattutto se piccolo, non riesce ancora a ragionare in questi
termini. Egli sa soltanto una cosa: che i suoi non ci sono. Punto e basta. Dove sta la soluzione? Purtroppo non ?
facile rispondere, perch?ai genitori spesso non ?dato di cambiare le regole dettate dall'andamento frenetico
della vita di oggi. E ci??vero nonostante quello che "pensano" i figli.
Per?almeno si pu?provare: ad allargare tempi
in cui si sta insieme in modo "gratuito", magari alla domenica o al sabato, tutti insieme, senza orari
troppo restrittivi e senza la stanchezza di una giornata di lavoro sulle spalle; a non esigere da un figlio
l'elenco delle cose che fa, come se lo si stesse interrogando in questura, ma piuttosto mostrando un reale e non
finto interesse per le cose che vive e che sente; a "giocare d'anticipo", magari con qualche sorpresa,
con qualche iniziativa, che fa capire al figlio che in fondo sappiamo ci?che gli sta a cuore. E che, come sta a
cuore a lui, cos?sta a cuore anche a noi.
don Stefano
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