CHRISTIAN BOBIN
Questi testi fanno “da assaggio” perchè ciascuno scopra Bobin acquistando i suoi libri!
Alcuni pensieri
Lo scrittore
Un elogio
Chi cammina
Il personaggio
L'intervista
I NOSTRI AMICI
Carlo Acutis
Etty Hillesum
Christian Bobin
Annalena Tonelli
Teresa di Lisieux
Eric-Emmanuel Shmitt
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CHRISTIAN BOBIN
L'UOMO CHE CAMMINA
(4/4)
Di sua madre non parla mai. È ovunque in lui.
È una contadinella, poco più che adolescente. È sul suo volto che
egli ha aperto per la prima volta gli occhi. Questa prima volta rimane
per lui, come per ogni essere umano, incisa nel più profondo della
carne, incancellabile.
In campagna si dice di un bambino che "ha preso" più da suo
padre o più da sua madre. Lui "ha preso" da sua madre
l'ampiezza dello sguardo, e la dolcezza conservata anche nelle parole
più rudi.
Lei lo vede morire. Nulla di peggio può capitare a una madre. Non ci
sono parole per un dolore simile. Non c'è parola in nessuna lingua per
ciò che ci strappa vivi alla nostra vita. Ci sono solo le sue parole
che sono più che parole.
Non sembra seguire un percorso a lui noto. Potremmo addirittura parlare
di esitazioni. Cerca semplicemente qualcuno che lo ascolti. È una
ricerca quasi sempre delusa, il suo cammino è quello delle delusioni,
da un villaggio all'altro, da una sordità alla seguente. Come la falda
d'acqua in cerca di una via d'uscita: scava, gira, ritorna, riparte -
fino al colpo di genio risolutore: il getto impetuoso che sgorga in un
pieno respiro polverizzando l'ultima diga.
Pochissimi riescono a tenere il suo passo. Una manciata di uomini e
alcune donne. Le donne hanno un vecchio legame coniugale con la fatica e
il rifiuto della fatica. Verso la fine, annuncia che "là dove
va" nessuno potrà seguirlo e che non si tratta di un abbandono,
perché "là dove va" avrà la stessa costante benevolenza per
ciascuno. Le società ci prendono per quantità, in blocco, in massa, a
cifre. "Là dove va" non potremo andarci diversamente da lui:
solo come a un appuntamento.
I quattro che descrivono il suo passaggio sostengono che, morto, si è
rialzato dalla morte. È questo indubbiamente il punto di rottura:
questa storia che ha molti tratti della luce serena d'Oriente, assume
qui una dimensione incomparabile. O ci si separa da quest'uomo su questo
punto, e si fa di lui un sapiente come ce ne sono stati migliaia, pronti
magari ad accordargli un titolo di principe. Oppure lo si segue, e si è
votati al silenzio, perché tutto ciò che si potrebbe dire è allora
inudibile e folle. Inudibile perché folle. L'uomo che cammina è quel
folle che pensa che si possa assaporare una vita così abbondante da
inghiottire perfino la morte. Coloro che ne seguono le orme e credono
che si possa restare eternamente vivi nella trasparenza di una parola
d'amore, senza mai smarrire il respiro, costoro, nella misura in cui
sentono quel che dicono, sono forzatamente considerati matti. Quello che
sostengono è inaccettabile. La loro parola è folle e tuttavia cosa
valgono altre parole, tutte le altre parole pronunciate dalla notte dei
secoli? Cos'è parlare? Cos'è amare? Come credere e come non credere?
Forse non abbiamo mai avuto altra scelta che tra una parola folle e una
parola vana.
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