CHRISTIAN BOBIN
Questi testi fanno “da assaggio” perchè ciascuno scopra Bobin acquistando i suoi libri!
Alcuni pensieri
Lo scrittore
Un elogio
Chi cammina
Il personaggio
L'intervista
I NOSTRI AMICI
Carlo Acutis
Etty Hillesum
Christian Bobin
Annalena Tonelli
Teresa di Lisieux
Eric-Emmanuel Shmitt
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CHRISTIAN BOBIN
L'UOMO CHE CAMMINA
(1/4)
Cammina. Senza sosta cammina. Va qui e poi là.
Trascorre la propria vita su circa sessanta chilometri di lunghezza,
trenta di larghezza. E cammina. Senza sosta. Si direbbe che il riposo
gli è vietato.
Quello che si sa di lui lo si deve a un libro. Se avessimo un orecchio
un po' più fine, potremmo fare a meno di quel libro e ricevere notizie
di lui ascoltando il canto dei granelli di sabbia, sollevati dai suoi
piedi nudi. Nulla si riprende dal suo passaggio e il suo passaggio non
conosce fine.
Sono dapprima in quattro a scrivere su di lui. Quando scrivono hanno
sessant'anni di ritardo sull'evento del suo passaggio. Noi ne abbiamo
molti di più: duemila. Tutto quanto può essere detto su quest'uomo è
in ritardo rispetto a lui. Conserva una falcata di vantaggio e la sua
parola è come lui, incessantemente in movimento, senza fine nel
movimento di dare tutto di se stessa. Duemila anni dopo di lui è come
sessanta. È appena passato e i giardini di Israele fremono ancora per
il suo passaggio, come dopo una bomba, onde infuocate di un soffio.
Se ne va a capo scoperto. La morte, il vento, l'ingiuria: tutto riceve
in faccia senza mai rallentare il passo. Si direbbe che ciò che lo
tormenta è nulla rispetto a ciò che egli spera. Che la morte è nulla
più di un vento di sabbia. Che vivere è come il suo cammino: senza
fine.
L'umano è chi va così, a capo scoperto, nella ricerca mai interrotta
di chi più grande. E il primo venuto è più grande di noi: è una
delle cose che dice quest'uomo. È l'unica cosa che cerca di inculcare
nelle nostre teste grevi. Il primo venuto è più grande di noi: bisogna
scandire ogni parola di questa frase e masticarla, rimasticarla. La
verità la si mangia. Vedere l'altro nella sua nobiltà di solitudine,
nella bellezza perduta dei suoi giorni. Guardarlo nel movimento del
venire, nella fiducia in questa venuta. È quanto si sfianca a dirci,
l'uomo che cammina: non guardate me. Guardate il primo venuto e
basterà, e dovrebbe bastare.
Va dritto alla porta dell'umano. Aspetta che questa porta si apra. La
porta dell'umano è il volto. Vedere faccia a faccia, da solo a solo,
uno a uno. Nei campi di concentramento i nazisti proibivano ai deportati
di guardarli negli occhi, sotto pena di morte immediata. Colui cui non
accolgo più il volto - e per accoglierlo bisogna che io lavi il mio
volto da qualsiasi residuo di potenza - quello io lo svuoto della sua
umanità e me ne svuoto io stesso.
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