Anno 2003
Numero 3 - Dicembre 2002
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FARE BENEFICENZA
Quando in auto percorrendo strade conosciute ci
avviciniamo ad un semaforo che sappiamo essere frequentato da persone che chiedono l?elemosina, oppure quando a
piedi vediamo un barbone tendere la mano per chiedere dei soldi, attiviamo strategie di comportamento certamente
differenti ma accomunate dalla volont?di tenere a bada il disagio che questi incontri fanno insorgere. Ci
scansiamo, calcoliamo il superfluo che possiamo elargire, l?importante ?cercare di tirare avanti e risolverci
il pi?presto possibile, per ritornare alle nostre abituali occupazioni.
La prossimit?di chi soffre (?evidente che
domandare la carit??un comportamento che esprime forte sofferenza), ci appare urtante, il contatto di sguardi,
il frapporsi nel cammino provoca un inciampo che disorienta. Proprio per questo risulter?comodo pensare ad una
elargizione in cui chi beneficer?sar?distante, ma "razionalmente" vicino oppure addirittura contiguo
a noi, ma mai da coinvolgerci nell'alterit?della sua esperienza. Da qui le cosiddette gare di solidariet?
quelle forme di beneficenza proposte da televisioni o "ospitate" dal vicino centro commerciale. Sono pi?
sicure, da risultare asettiche, non frequentate da ansie, paure del vivere associato.
In questo modo i "sussulti" della
coscienza si acquietano sino ad una nuova insorgenza che non sar?comunque tellurica ma da ricondurre ad un alveo
di modesta partita doppia. Certamente non dobbiamo pensarci come in preda a continui turbamenti che inibiscono tra
l?altro la possibilit?di fare, ma neppure, all?opposto, come incanalati in percorsi che autonomamente
battiamo, tanto da risultare non problematici.
Il supplemento d?anima, che forse abita queste
moralistiche righe, trova origine dall?esigenza di catarsi e di purificazione che la infausta diagnosi di come
siamo produce.
Aldo V
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