CHRISTIAN BOBIN
Questi testi fanno “da assaggio” perchè ciascuno scopra Bobin acquistando i suoi libri!
Alcuni pensieri
Lo scrittore
Un elogio
Chi cammina
Il personaggio
L'intervista
I NOSTRI AMICI
Carlo Acutis
Etty Hillesum
Christian Bobin
Annalena Tonelli
Teresa di Lisieux
Eric-Emmanuel Shmitt
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CHRISTIAN BOBIN
ELOGIO DEL NULLA
Illumina ciò che ami senza toccarne l'ombra (3/4)
Ma non ne hanno bisogno. Non c'è perdita nelle nostre vite, perché
le nostre vite sono perdute da sempre, perché continuano a svanire
momento dopo momento. Nella sua lettera una parola mi infastidisce. La
parola "senso". Mi permetta di cancellarla. Guardi cosa
diventa la sua domanda, come si presenta bene adesso. Aerea, agile:
"Cosa le dà la vita?". Stavolta la risposta è facile: tutto.
Tutto ciò che non è me e mi illumina. Tutto ciò che ignoro e che
aspetto. L'attesa è un fiore semplice. Germoglia sui bordi del tempo.
E' un fiore povero che guarisce tutti i mali. Il tempo dell'attesa è un
tempo di liberazione. Essa opera in noi a nostra insaputa. Ci chiede
soltanto di lasciarla fare, per il tempo che ci vuole, per le notti di
cui ha bisogno. Lo avrà senza dubbio notato: la nostra attesa - di un
amore, di una primavera, di un riposo - viene sempre soddisfatta di
sorpresa. Come se quello che speravamo fosse sempre insperato. Come se
la vera formula dell'attendere fosse questa: non prevedere niente, se
non l'imprevedibile. Non aspettare niente, se non l'inatteso. Questo
sapere mi viene da lontano. Sapere che non è un sapere, ma una fiducia,
un mormorio, una canzone.
Mi viene dall'unico maestro che io abbia avuto: un albero. Tutti gli
alberi nella sera trepida. Mi ammaestrano con il loro modo di accogliere
ogni istante come una buona ventura. L'amarezza di una pioggia, la
follia di un sole: tutto è nutrimento per loro. Non hanno
preoccupazione di nulla, e soprattutto di un senso. Attendono, di
un'attesa radiosa e tremula. Infinita. Il mondo intero poggia su di
essi. Il mondo intero poggia su di noi. Dipende da noi che si spenga o
che si infiammi. Dipende da un granello di silenzio, da un pulviscolo
dorato - dal fervore della nostra attesa. Un albero che risplende di
verde. Un viso inondato dalla luce. Questo basta per ogni giorno. Anzi,
è molto. Vedere ciò che è. Essere ciò che si vede. Smarrirsi nei
libri, o nei boschi. La natura sommerge i libri. L'erba ricopre il
pensiero. Il verde assorbe l'inchiostro. Attraversare una terra è come
esaurire un amore. Quello che attraversiamo ci cambia. Il paesaggio
affluisce nel corpo. Il vento si ingolfa nel sangue. Il cielo trova la
via per il cuore. Guardiamo gli uccelli indaffarati su un albero dalla
fitta chioma rigogliosa. Si chiamano, si rispondono, il becco
picchiettato d'ombra. Piccoli mendicanti gioiosi sotto il mantello del
re. Prendiamo tra le dita una farfalla secca, attaccata a una foglia di
gelso. L'arte di camminare è un'arte contemplativa. All'inizio si
guarda quello cui si passa accanto, poi lo si diventa. Non si è più
che una traversata luminosa del paesaggio. Si è soltanto, se stessi,
una farfalla morta, polverizzata dal vento. Non si lotta più con
l'aria, con il vuoto nell'aria, con gli angeli nel vuoto. Si è come in
quella storia che la mamma racconta al bambino: "Quando avevo la
tua età ero così piccolina che il vento, in una giornata di rabbia, mi
ha sollevato e portato molto lontano, con il mio ombrello rosso - rosso
come una coccinella, rosso come una parola d'amore, amore mio".
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