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La sagrada Familia
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SAGRADA FAMILIA
( intervista)
La sagrada Familia
Lo scultore Etsuro Sotoo al
lavoro a Barcellona -
Sotoo: " Nella pietra plasmo il mio
Tempio per gli angeli".
Vista dall'alto la
basilica si rivela nel suo possente ordine di colonne, archi, torri.
Assolutamente nulla casuale, tutto è stato pensato dall'architetto come
simbolo della Gerusalemme celeste: è un libro sulla fede cristiana,
aperto e immenso. " Lavorare qui è un esercizio di umiltà", spiega il
vicedirettore dei lavori , Jordi Fauli |
Dal
museo sotto la Sagrada una porta conduce al suo laboratorio: un locale zeppo di
attrezzi, gessi, scalpelli, nel vivo disordine di una bottega da antico
artigiano. Una scaletta sale allo studio: piccolo, accogliente sotto a un tetto
d’ assi di legno. Sugli scaffali, in fila, coleotteri e altri insetti di gesso,
la straordinaria fauna immaginata da Gaudi. Un vecchio orologio è fermo sul
mezzogiorno. Sulla porta, un cartello: «Per fare bene le cose occorre prima
l'amore, poi la tecnica». Etsuro Sotoo è un uomo alto, forte, ma di una
gentilezza orientale nell'impercettibile inchino con cui accoglie il visitatore.
Attorno, ovattato, l'eco di colpi, voci, stridori del cantiere: siamo nelle
viscere della Sagra da, che sopra di noi va alzandosi vertiginosamente. Nel
1978, al suo primo viaggio in Europa, il venticinquenne Sotoo era diretto in
Germania, ma quasi per caso arrivò a Barcellona. Quando si trovò davanti alla
Sagrada, racconta, provò «una grandissima allegria». Perché. allegria? «Perché
ero partito cercando la pietra, e qui l'avevo trovata. Pietra, tantissima .
pietra. E io, volevo scolpire». La materia che fra gli uomini è sinonimo di
indifferenza e durezza, per il ragazzo venuto dall'Oriente era passione.
Ma perché, maestro, amava tanto la pietra?
«Perché delle materie è la più dura. La meno docile, la meno obbediente.
Questo mi affascinava.ma pertanto tempo io stesso non ho saputo perché. Solo con
gli anni ho capito: la pietra che cercavo ero io stesso. lo, la pietra da
modellare. Perché normalmente gli uomini cercano senza sapere cosa stanno
cercando. Incontrano cose, e le confrontano fra loro; ma quando incontri ciò che
davvero stai cercando, capisci che non è paragonabile con nient'al!ro. Fino a u~,
secondo prima non sapevi quale era, Cl0 che volevi. Ma quando la incontri, è la
certezza: questo, ecco, e nient'altro. Per me è stato l'incontro con la Sagrada
Familia»
Lei era giovane a allora. Credeva in Dio?
«Ero in una posizione incerta. Mi avvicinavo alle religioni senza rispetto
per le loro tradizioni, di cui non mi importava niente. In ogni fede cercavo
solo ciò che poteva appagare la mia ricerca: afferravo, qui e là. Sono diventato
buddista, ma poi ne sono uscito stanco. l'amico che mi aveva convertito alla
fine mi gridava contro. Gli facevo, diceva, troppe domande».
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Gaudi diceva che questo tempio edifica chi lo edifica. Si può
dire che lei è stato edificato dalla Sagrada?
«Sì, ed è anche il mio grande desiderio per il futuro. Ho imparato tanto
dalla Sagrada, e non sole: il modo di lavorare: ho incontrato Gaudi ne ho
riconosciuto il cammino. Un cammino che, costruendo, ti costruisce. Non è
questo, poi, il vero lavoro di tutti. i lavori?»
Lei ha ricevuto il battesimo. Come Sl e convertito?
«Da sempre, io cercavo. Ho incontrato amici che mi hanno molto aiutato. Ma
queste persone non hanno acceso la scintilla della scelta; quella, è solo tua. A
un certo punto io ero convinto del cristianesimo, ma mi mancava quella
scintilla. Un giorno in aeroporto osservavo distrattamente una mamma che teneva
in braccio il suo bambino, e gli parlava e gli sorrideva teneramente. Era come
se, in quella folla, la donna fosse sola con il bambino: lui per lei era il
numero uno al mondo. In un altro angolo un altro bimbo giocava, correva, cadeva,
e suo padre lo rialzava, e fra le sue braccia il bambino si quietava. Anche lui
era un "numero uno". Mi colpì il pensiero che tutti i figli sono, per il padre e
la madre, "numeri uno". Come è possibile, mi chiedevo? l'unico modo in cui è
possibile, mi sono detto, è l'amore, che trasforma ognuno di noi in un figlio
unico e amato. Ma chi per primo ha annunciato questo amore è Gesù Cristo.
Allora, ho deciso, allora vale la pena d, seguirlo».
Restaurando il Portale del Rosario lei ha raffigurato un uomo nell'atto di
landare una bomba - allusione a un attentato anarchico del 1893 a . Barcellona,
in cui Gaudi perse molti amici. Lei però ha dato all'uomo una espressione buona.
E lo ha spiegato così: «Quell'uomo .non era cattivo, solo non sapeva dove
guardare»
«Se io fossi stato solo un restauratore professionale avrei ubbidito al
giudizio del mondo, che impone di raffigurare cattivo un assassino. Ma ho capito
che dovevo guardare doye guardava Gaudi. Lui non avrebbe ma, introdotto l'odio
qui, nella Sagrada. Seguendo lui ho raffigurato quell'uomo in quel modo».
Il non sapere "dove" guardare è un problema diffuso, oggi.?»
«Il problema è che molti credono di sapere guardare, e invece non ne sono
capaci. E per quello che non trovano niente. Non confrontano le cose m cut si
imbattono con il proprio più profondo desiderio».
Colpisce, nella Sagrada, l'uso forte del linguaggio dei simboli; che è
proprio del Medioevo e che Gaudi recupera, mentre l'arte del primo Novecento
andava in tutt'altra direzione.
«Gaudi andava controcorrente perché tornava all' origine: lui tornava al
principio delle cose». Anche per lei, come per gli scultori delle cattedrali
medioevali, tutto è "segno" che rimanda ad altro?
“ Gli uomini che costruiscono le cattedrali concepivano la loro professione
come qualcosa cui dare tutto di se – il corpo, la mani, il cuore. Oggi”
professionale” è invece che fornisce la sua competenza separando la tecnica dal
cuore”.
Ma qual è il senso scritto nelle chiocciole, nei coleotteri che popolano le
pareti della Sagrada?
«Il messaggio è l'amore stesso che Gaudi sperimentò nell'infanzia. Lui nato
malato, bambino cagionevole e solo in una casa di campagna, come amici trovò le
lucertole e gli uccelli. Che diventano i simboli di questo amore ricevuto. Come
quella pianta selvatica - in Spagna la chiamano "unghia di gatto" - che cresceva
nel giardino di Gaudi, Una specie di cardo che nasce chiuso e poi si apre in una
spirale. E la stessa struttura che si ritrova nel movimento elicoidale che torna
costantemente nella geometria della Sagrada, e nelle colonne, e nelle scale».
A cosa sta lavorando adesso?
«Alle porte della facciata della Natività. E poi sto facendo dei pinnacoli
alti tre. metri che verranno messi come gl1 altri, sulla sommità delle guglie.
Sono come boccioli chiusi, che un giorno fioriranno».
La Sagrada Famlia sembra un libro aperto sulla fede cristiana. Lei pensa che
qualcuno, guardandola, si possa convertire?
«Guardandola con attenzione e amore, sì. Certo lo sguardo dei turisti spesso
non è preparato. Eppure credo che anche a un turista distratto qualcosa
rimanga». E dello sguardo di Benedetto XVI sulla Sagrada, a lei cosa è rimasto?
«"Mole immensa di pietra", così l'ha chiamata il Papa, ma è come se la sua
visita l'avesse trasformata in una mole di luce. Per i catalani, fino a quel
giorno la Sagrada sembrava non esistere; improvvisamente, l'hanno vista».
Si parla ormai di una data in cui il tempio sarà finito, fra vent'anni
«Per me è un pensiero triste. Perché la domanda è: perché costruiamo? Per me
questo tempio è uno strumento per costruire l'umanità, e non posso pensarla
finita».
Come ci si sente, a lasciare sculture che rimarranno per secoli?
«lo lavoro con estrema cura, nell'ansia che 'tanti,distrattamente, ammirino,
ma uno, che se ne intende davvero, si possa accorgere di un mio errore. Penso
sempre a soddisfare quello sguardo attento. A Milano ho osservato con meraviglia
le statue del Duomo. Non so se potremo arrivare più a quel livello: ai tempi
della costruzione del Duomo c'era una tensione spirituale collettiva, che oggi
non c'è».
Ciò che stupisce di quei volti a cento metri dal suolo è che nessuno li vedrà
da vicino, eppure sono perfetti.
«Gaudi - sorride Sotoo - disse che lui si preoccupava dello sguardo degli
angeli. Questa è casa di Dio, non nostra: e quindi è giusto che tutto sia
perfetto per chi la guarda dal cielo». |