Il Santuario sorge proprio nel punto dove, il 29 settembre 1504,
festa di S. Michele, la Vergine Maria apparve al beato Mario Homodei,
salutandolo con le parole: "Bene avrai" e chiedendo espressamente la costruzione
di un tempio in suo onore con la promessa di salute spirituale e corporale a chi
l'avesse invocata. L'immediato consenso creatosi intorno all'apparizione indusse
le autorità di Tirano a chiedere alla Curia di Como l'autorizzazione per la
costruzione del santuario. Questa fu subito concessa. Infatti il 10 ottobre
1504, undici giorni dopo l’evento, Guglielmo Cittadini, vicario del vescovo di
Como, cardinale Antonio Trivulzio, autorizzava, con il permesso di celebrare la
messa, la costruzione di una basilicam seu ecclesiam in onore della
Vergine, sul luogo dell’Apparizione, dove già era stata eretta con frenetico
zelo una cappella. Neppure sei mesi dopo l'apparizione, esattamente il 25 marzo
1505, fu posta la prima pietra. Presunti architetti i fratelli Rodari, Tommaso,
Giacomo, Donato e Bernardino, originari di Maroggia sul lago di Lugano, nel
Canton Ticino della Svizzera. Nel 1513 la chiesa era già officiata, anche se
incompleta. Numerosi maestri d'arte, nei secoli successivi, gli diedero
l'attuale bellezza e ricchezza artistica.
L'ESTERNO
La facciata è imponente e armoniosa. Non è difficile infatti cogliere,
fin dal primo sguardo, lo straordinario senso di equilibrio originato dal rigore
geometrico al quale si ispirano l’insieme e le singole parti architettoniche,
caratteristica dell’arte rinascimentale, codificata da grandi trattatisti, primo
fra tutti, da Leon Battista Alberti. Suddivisa da lesene e cornicioni, propone
lo splendido portale marmoreo di Alessandro Della Scala, artista
di Carona sul lago di Lugano, che lo realizzò tra il 1530 e il 1534.
Il portone ligneo, pregevole opera d’intaglio, è stato realizzato nel
1602 da Arnolt Tiafelt, originario di Feldkirch nel Vorarlberg
Il campanile è alto e maestoso, in stile lombardo con un piano a bifore e
quattro a trifore. Risulta che nel 1526 la torre restava incompiuta, non si sa a
che livello. Tale rimase fino al gennaio 1576. Il 4 giugno dello stesso anno si
riprese il lavoro con frenetica operosità tanto che a fine luglio la parte
muraria era ultimata e si stava approntando la copertura provvisoria con travi
di larice e lastre di rame
La cupola è opera di Pompeo Bianchi, ingegnere della Fabbrica del duomo
di Como, e fu costruita negli anni 1580-1585. Perfetta ed aerea con le sue
nervature terminanti in leziosi riccioli di sapore veneziano e coronata dalla
lanterna, sulla cui sommità svetta san Michele nelle vesti di guerriero. La
girevole statua venne realizzata in bronzo con finimenti in rame,
oro e argento nel 1589 da Francesco Guicciardi di Ponte in Valtellina.
L'INTERNO misura 20,35 metri in lunghezza e 14, 40 in larghezza.
Lo stile è un intrecciarsi tra puro rinascimento e gusto barocco. La pianta è
a croce
latina dalla quale si levano il coro con l’abside e, su robusti
pilastri, le tre navate, divise in altrettante campate dalle volte
a crociera, l’ultima delle quali alta a formare il transetto, al cui centro si
apre la cupola.
Il transetto è impreziosito dagli stucchi e dalle decorazioni marmoree di
Pompeo Bianchi, di Domenico Fontana (1590-1599), e in un secondo momento (1608)
da quelle di Martino Borserio di Stazzona di Villa di Tirano.
Tra gli affreschi è notevole dal lato storico (1513) quello
dell'Apparizione della navata di sinistra opera di ignoto. Il dipinto, che è
anche un ex voto, rappresenta con ingenua freschezza di composizione e ricchezza
di particolari la scena dell’Apparizione nel suo contesto ambientale.
Molti i dipinti su tela:
a) il quadro, del 1576, che rappresenta il miracolo della risurrezione dei due
bambini tirolesi, avvenuto il 26 marzo 1506, il giorno dopo la posa della prima
pietra del tempio, è opera di Cipriano Valorsa di Grosio;
b) le cinque tele nel presbiterio, dipinte tra il 1634 e il 1637 da Giovan
Battista Recchi di Como, presentano i momenti salienti della vita della Vergine
Maria;
c) il grande telo che copre l’organo (mt. 5 x 6) raffigura l’incoronazione della
Madonna ed è opera (1650-1651) del pittore Carlo Marni di Bormio e del suo
collaboratore Domenico Stella.
L'altare maggiore, dalle sinuose linee settecentesche, edificato in stile
romano nel 1748, in marmo nero di Varenna e intarsiato con altri marmi
policromi, come pure le balaustre, sono opera di G. B. Galli di Clivio.
Sul luogo dove la Madonna apparve sorge la cappella dell’Apparizione che
è il cuore del santuario. E’ la sola parte sporgente dal perimetro dell’edificio
rinascimentale ad indicare, già all’esterno, il ‘luogo santo e benedetto’.
Rilevante dal punto di vista artistico è soprattutto la parte scultorea marmorea
cinquecentesca, di chiara matrice ‘rodariana’. Altre statue, specie putti, in
stucco, animano gli ornamenti della volta realizzati sul finire del Cinquecento
da Martino Borserio di Stazzona di Villa di Tirano, in cui spiccano i riquadri
di pittura. Sono state recentemente (2003-2004) rimesse in luce anche dipinture
secentesche fatte sulla base degli originali ad olio nel 1602-03 da Giovan
Pietro Homodei.
L’altare dell’Apparizione: pur inserito nel contesto architettonico e
decorativo della cappella, rivela uno stile molto diverso, di gusto neoclassico,
imperiale, in lucido marmo di vario colore. E’ un manufatto costruito per
sostituire l’altare costituito da un’antica ancona lignea intagliata da Giovan
Angelo Del Majno di Pavia tra il 1519 e il 1524. Questo altare fu spogliato,
distrutto e trafugato nel 1798 per ordine napoleonico. Quello nuovo, invece, fu
realizzato tra il 1801-1802 su progetto di Gian Maria Pianta e realizzato da
Gabriele Longhi. Nell’edicola sull’altare dell’Apparizione domina la
statua lignea policroma e
dorata della Madonna, opera – con le sette statuette dello ‘scurolo’ –
del già citato G. A. Del Majno. Il vano dietro l’altare è chiamato ‘scurolo’,
l’angolo più appartato di tutto il tempio. ‘Ubi steterunt pedes Mariae’: la
scritta ‘dove si posarono i piedi di Maria’ indica il luogo esatto
dell’Apparizione, luogo che favorisce il raccoglimento e permette al fedele di
entrare in personale contatto con la Madonna lì apparsa.
L'organo
è l'opera più pregevole cha dà al santuario una larga fama e suscita
l'ammirazione dei visitatori. Alto quasi 14.50 mt. è sorretto da otto colonnine
di marmo rosaceo, provenienti da Arzo nel Canton Ticino. La gran cassa, in legno
finemente intagliato, fu realizzata dal bresciano Giuseppe Bulgarini tra il 1608
e il 1617. Ma poteva dirsi completata solo nel 1638, quando il milanese G.B.
Salmoiraghi intagliava abilmente i delicati pannelli del parapetto che
rappresentano la Natività, i Magi e la Circoncisione. Per la maggior parte
l’opera monumentale è di larice rosso. La parte strumentale, con 2.200 canne
(inizialmente) di purissimo stagno, è stata più volte restaurata ed è tuttora in
funzione e accompagna le celebrazioni liturgiche festive. Fu commissionata ai
fratelli Tommaso e Domenico Mearini di Brescia, ma fu realizzata in effetti dal
milanese Michelangelo Valvassori tra il 1639 e il 1641. Numerosi gli interventi
per ‘netare e agiustare’ la parte strumentale che venne nel 1882 parzialmente
rinnovata da Luigi Parietti, allievo del celebre Serassi di Bergamo. L’organo,
per sua natura strumento di celebrazione sacra tramite il suono della musica e
l’accompagnamento dei canti, qui diviene già nella struttura un inno di lode a
Dio Padre Onnipotente che si affaccia in alto con le braccia tese per accogliere
le preghiere e le suppliche che con la musica e il canto s’innalzano a Lui.
Anche il pulpito, artisticamente intagliato, si riteneva opera del già citato G.
Bulgarini. In realtà è opera di sconosciuto che lo realizzò tra il 1559-MDC,
date leggibili tra gli intagli alla base delle statuette di S. Michele Arcangelo
e S. Martino, patrono di Tirano. Dirimpetto all'organo è posta la cantoria,
ricca d'intagli e pitture, iniziata nel 1768 e finita nel 1770 dall’intagliatore
Giovan Antonio Pianta. Elegante nel suo andamento sinuoso, tipicamente
settecentesco, è il parapetto in legno laccato con parti dorate e ornamenti ad
intaglio con graziosi putti musicanti di fine esecuzione e cinque specchi
sagomati disposti sul fronte con dipinti attribuiti a Giovan Pietro Romegialli
di Morbegno. Tutte queste (e altre) pregevoli opere d’arte presenti in santuario
sono il frutto dell’ingegno degli artisti, ma soprattutto della fede e dei
sacrifici dei nostri padri.
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