ITINERARI
NEL BELPAESE
FRA ARTE E SACRO
La nostra Via Crucis
La sagrada Familia
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Il Sacro Monte di
san Girolamo
Somasca di Vercurago
testo e foto di Luca Frigerio
Sì, adesso finalmente intuiamo perché
Girolamo Emiliani scelse
proprio questo luogo per ritirarsi in preghiera. Durante il giorno festivo, fra
le cappelle di questo Sacro Monte di
Somasca di Vercurago, è stato tutto un brulicare di
pellegrini e di fedeli, solitari o più frequentemente famiglie, padri, madri,
figli, nonni, e perfino gruppi interi, parrocchie, paesi, con la guida di un
sacerdote, magari degli stessi religiosi Somaschi. Una devozione semplice,
sentita, fatta come una volta di rosari e di omaggi floreali, di segni della
croce tracciati lentamente, di singhiozzi trattenuti per grazie da invocare, o
ricevute e concesse. Ma ora, sul far della sera, quando l’orizzonte si tinge di
rosa e d’arancio, tutto tace fra le montagne e il lago, e solo il vento mormora
ancora,
storie antiche, che non si dimenticano. Affascinante figura, quella di
san Girolamo, il “vagabondo di Dio”, “il padre degli orfani”. Un rampollo di
nobile schiatta, questo Emiliani, che nella ricca Venezia del primo Cinquecento
ambiva a conquistarsi un ruolo di condottiero e signore. Ma le guerre non
portano solo onori e medaglie. Sconfitto, gettato in prigione, e poi
miracolosamente liberato, Girolamo si ritrovò in ginocchio di fronte
all’immagine della Vergine, chiedendo a lei e a se stesso che cosa ne avrebbe
dovuto fare della sua vita. Donarla agli altri, ai più poveri, agli ultimi,
totalmente, incondizionatamente, nel nome di Cristo, fu la risposta
irrevocabile. Quelli che si morivano di fame divennero allora i suoi fratelli.
E
poi i moribondi, gli appestati, i disperati. Quindi i più indifesi fra tutti: i
bambini senza una famiglia, privati, dal destino o dall’odio, di padri e di
madri. Emiliani cominciò a raccoglierli attorno a sé, donando un po’ di quel
calore famigliare che era stato loro negato. E soprattutto il sorriso di una
speranza. Ma non si equivochi. Girolamo non era un illuso. Aveva pur sempre il
piglio del comandante, il senso pratico dell’organizzatore, proprio come i
contemporanei Filippo Neri e Ignazio di Loyola, o lo stesso Carlo Borromeo. E
sapeva bene che la Provvidenza operava anche attraverso le mani e la tenacia
degli uomini. Il suo esempio, poi, era contagioso. Dove passava, e dove era
chiamato, lasciava il segno, e tanti discepoli che continuavano l’opera
iniziata. Qui, nella valle di San Martino, Emiliani individuò il luogo adatto
dove far
nascere la sua famiglia religiosa, dove raccogliere un gran numero di
orfanelli da crescere in spirito e sapienza, e dove lui stesso, periodicamente,
avrebbe potuto farsi eremita, nella contemplazione della Parola di Dio e del
Creato. Davvero un incanto, fra la solitudine delle rocce e dei boschi, il
panorama sulle acque che principiano il lago prima di Lecco e una corona di
cime. Lui stesso, sul sentiero che portava a un castello diroccato, che la
fantasia popolare attribuì poi all’Innominato manzoniano, posò pietra dopo
pietra a comporre una scalinata da ascendere in preghiera e meditazione. L’umile
gente del posto, vedendolo così affaticarsi, voleva porgergli aiuto, ma
Girolamo, gentilmente quanto fermamente, faceva loro osservare che anche in
questo modo si guadagnava uno scalino in più verso il Paradiso... L’apostolo
dell’infanzia abbandonata è rimasto quassù. Nell’antica chiesa di Somasca, più
volte ampliata, riposano i suoi resti mortali. E lungo la mulattiera che
Girolamo percorse tante volte con i suoi ragazzi sono sorte otto cappelle, a
narrare gli episodi più emblematici della vita del santo. Più in alto ancora, la
fonte prodigiosa che scaturì dalla viva roccia, in una balconata panoramica con
archi, chiesuole, campanili, piazzole, scalinate, loggiati, dove i raggi del
sole si insinuano in un ammaliante gioco di luci e di ombre. Un complesso,
forse, di pregio più scenografico che artistico, eppure schietto e suggestivo,
che raggiunge lo scopo di commuovere e far ricordare. Ricordare la figura di un
uomo che non ebbe paura di essere santo.
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